La mia prima esperienza con l’euritmia la potei fare dieci anni fa, quando in VIII passai da una scuola statale a una scuola Waldorf. Oltre all’approccio pedagogico completamente diverso, aspettavo con ansia la lezione di euritmia e in un primo momento, comprensibilmente, rimasi piuttosto confusa. In una stanza tutta colorata di rosa, i miei nuovi compagni si muovevano su testi e musiche e, al contrario di me, parevano sapere tutti che cosa bisognasse fare. Io mi limitavo a imitarli e cercavo di riconoscervi un senso.
La mia insegnante di euritmia cercò di spiegarmi la materia, però non capivo che cosa ne dovessi trarre. Ma mi piaceva avere nella giornata di scuola qualcosa che non si rivolgesse solo al cervello. In quel momento eravamo un’unità e lavoravamo insieme in modo del tutto naturale. Potevamo lasciare da parte le reciproche difficoltà e creare qualcosa insieme.
Naturalmente allora non mi era chiaro. Se si viene catapultati così in una situazione scolastica, ci si limita a seguire, ma poi questa esperienza, soprattutto rispetto alla mia storia precedente nella scuola pubblica, fu per me di straordinario valore.
Durante gli anni scolastici, fino al termine degli studi, si radicò nelle mie aspettative per il futuro l’idea di stare una volta davanti a una classe e di poter offrire agli studenti la possibilità di lavorare insieme così, senza riserve. Quando in XII preparavamo il saggio finale di euritmia per rappresentarlo, avevo trovato un grande piacere nell’euritmia, perché non si trattava di un’arte rigida, ma vi era movimento ovunque. Si è liberi nelle possibilità espressive e in ciò che si vuole manifestare. Così non si ha l’obbligo di consacrarsi alla musica o al testo, perché non è quello il compito, ma si rappresenta il suono o il linguaggio. Si può, in un certo senso, prescindere da se stessi e abbandonarsi del tutto a ciò che risuona.
“…un ulteriore stimolo…”
Quando l’insegnante di euritmia mi disse che avrei potuto pensare a un corso di studi sull’euritmia, e mi raccontò alcune cose di quel corso, nel mio cuore ero sicura di volerlo fare. Così presentai domanda alla scuola di arte euritmica di Berlino. All’inizio era per me assolutamente sorprendente trascorrere le giornate in una lunga veste, però mi ci abituai alla svelta, accettandola come la quotidianità per una studentessa di euritmia.
Tra i vari momenti dedicati agli esercizi con le verghe, a quelli con i passi e con le vocali, ve ne fu uno in cui una studentessa del quarto anno ci mostrò come si cuce un abito da euritmia. Fin dalle lezioni di lavori manuali alla scuola Waldorf mi piacevano molto i lavori di quel tipo, ed ero perciò entusiasta di queste lezioni di cucito. E quando seppi che diverse indicazioni sui costumi riguardavano le forme date da Rudolf Steiner, divenni instancabile nel lavoro manuale. Trovai così un nuovo stimolo all’euritmia: i costumi.
Durante il secondo anno, mentre lavoravamo a semplici “forme del Dottore”, iniziai quindi a occuparmi delle indicazioni per i costumi. Esaminavo vecchie fotografie delle scene dal Faust, ed ero impressionata dalla varietà dei costumi. Avevo già imparato molto su pantaloni e casacche, sui diversi materiali e, dal terzo anno, sulle combinazioni di colori fra velo e abito. Volevo provare e sperimentare quanto più era possibile.
Ora nel quarto e ultimo anno di formazione, mi servii di tutto quel che avevo fatto e studiato per la mia tesi di diploma dal titolo: “I colori in euritmia”, e appresi qualcosa anche sulla funzione e le possibilità delle luci di scena.
Così posso parlare per esperienza personale quando dico che l’euritmia non si esaurisce nel movimento.
La mia impressione dei quattro anni di studi è che la complessità e varietà di quest’arte trovi un limite solo nella creatività di ognuno, perché lo studio dell’euritmia non termina quando si lascia la scuola.
Se si racconta ai propri amici che si studia euritmia, in genere la reazione è: “Ma che cos’è?”
Poiché la reazione normale a qualunque tentativo di spiegazione è di solito uno sguardo scettico, ho deciso di invitare le persone alla nostra rappresentazione finale. Diventano superflui i tentativi di spiegazione quando si è disposti a far agire su di sé uno spettacolo.
Certo oggi non è usuale leggere poesie o ascoltare musica classica, così ogni rappresentazione è una sfida; nonostante ciò ho fatto l’esperienza nella cerchia della mia famiglia e dei miei amici che essi, pur non potendo comprendere del tutto l’euritmia, ricevevano comunque un’impressione della sua efficacia.
È rimasta in me come un tempo la ferma convinzione di voler iniziare subito un’attività di insegnante e mi rallegro all’idea di offrire ad altri le cose imparate negli ultimi anni; spero davvero che anch’io potrò un giorno far entusiasmare uno o l’altro dei miei allievi come io stessa mi entusiasmai per questa materia quando frequentavo la scuola Waldorf.
Lisa Metze
Ho iniziato il mio corso di euritmia nel 2013. Ero venuta in contatto con l’euritmia e l’euritmia terapeutica già in precedenza nel 2006 nel Seminario interculturale per i giovani di Stoccarda. Avevo subito un incidente stradale e l’euritmia mi aveva aiutato a confrontarmi più consapevolmente con me stessa e con il mio corpo – sperimentando quanto fosse importante riuscire ancora a muoversi con le proprie forze. Avevo provato allora la sensazione non solo corporea, ma soprattutto interiore, di imparare a camminare. Si afferra se stessi e il proprio corpo.
A quel tempo decisi di frequentare una facoltà di economia che ho poi portato a termine. Mi sono accorta ben presto però che ero interessata molto poco agli aspetti tecnici, quanto piuttosto al modo in cui gli uomini cooperavano fra loro, a come funzionavano i processi lavorativi, a come venivano realizzate idee comuni. Erano tutti elementi che avevo trovato anche nell’euritmia. A poco a poco compresi perché portassi così tanto l’euritmia in me. La mia decisione di studiare euritmia non venne da un processo di maturazione, ma fu la conseguenza di una necessità interiore.
Lo studio mi ha offerto l’approfondimento di conoscenze sull’euritmia che speravo, ma con un’intensità che non mi aspettavo. Mi ha permesso di esprimere meglio le esperienze interiori che si provano ascoltando una musica o una poesia, e di renderle visibili. Ho imparato che l’anima di una persona può inserirsi in ogni nota, in ogni suono e in ogni lettera e che attraverso questa esperienza si possono studiare a fondo le molte sfaccettature della vita animica, e quindi in ultima analisi della conoscenza umana. Nel confronto con una poesia o un brano musicale il corpo diviene strumento. L’euritmia penetra l’essere dell’uomo in quanto rende visibile attraverso il corpo i contenuti spirituali e le loro leggi.
Questo non significa che sia autoreferenziale. Al contrario. Ho vissuto come un grande lusso poter completare un secondo corso di studi ed essere in un continuo dialogo con i miei compagni. Infatti volevo collaborare con altre persone, considerarmi con loro in un comune processo formativo, e infine esservi veramente. Per quasi quattro anni ho lavorato a brani comuni con sei compagni – ogni giorno di nuovo, con risultati affascinanti. Vivere con gli altri nella medesima idea, nella medesima immagine, fino ad avere quasi lo stesso respiro, era e rimane un’esperienza straordinaria. Nell’euritmia è importante stabilire una consonanza tra udibile e visibile, trasformare esperienze animiche in immagini che si presentano al pubblico. Si impara a porre se stessi all’interno del movimento e diventa percepibile la peculiarità propria e dell’altro. Mi ha sempre impressionato come ci siamo riconosciuti pur nelle nostre diversità. Mi rallegro di poter ripetere di nuovo questa esperienza nella presentazione del nostro lavoro finale.
Per tutte queste ragioni riconosco anche l’alto valore pedagogico dell’euritmia. Ho presentato domanda per un ruolo di insegnante di euritmia e sono molto emozionata di fronte a questo nuovo passo.
Svenja Kerksen
Durante la settimana di aggiornamento ad Oriago, alla fine di giugno, l’AIE ha concluso il percorso triennale sull’euritmia pedagogica dalla III all’VIII.
Sono stati consegnati 15 diplomi da Donat Südhof, docente responsabile, e da Maria Enrica Torcianti, presidente di AIE.
Per la chiusura della settimana le euritmisti e gli euritmisti partecipanti hanno rappresentato la fiaba I sette corvi dei fratelli Grimm, con la regia di Elisabetta Fusconi, un Impromptu di Schubert e un Ragtime suonati da Stefania Visentin.
Il percorso di formazione sull’euritmia pedagogica si rivolge a euritmisti attivi nelle scuole Waldorf in Italia, proponendosi questi obiettivi:
– Insegnamento di:
– Elaborazione concettuale della presentazione e della motivazione dell’insegnamento dell’euritmia nelle scuole Waldorf
– Potenziamento dello scambio reciproco e della collaborazione delle euritmiste in loco
– Costituzione di una rete per l’organizzazione/attuazione di approfondimenti e aggiornamenti futuri all’interno dell’AIE.
Il corso prevede circa sei incontri di approfondimento di 2-3 giorni ciascuno, suddivisi nell’arco di tre anni. Il lavoro si svolge attraverso conferenze e colloqui, l’elaborazione e riflessione in comune di esercizi per la preparazione meditativa delle lezioni e la presentazione metodico-didattica di contenuti per le lezioni.
Ogni incontro è dedicato a una singola classe, di volta in volta con i seguenti contenuti:
La conclusione del ciclo triennale, con la consegna dei primi diplomi, è la conferma di una strada intrapresa anni fa e un sostegno per proseguirla.
L’euritmia aiuta il bambino a collegarsi pienamente con la terra. Gli sforzi che richiede sono molto grandi, come pure gli ostacoli che le si frappongono. Wolfgang Leonhardt, per lungo tempo medico scolastico a Pforzheim, approfondisce la necessità esistenziale dell’euritmia e auspica un alleggerimento nel lavoro degli insegnanti.
La nascita di un bambino è un evento che si svolge in due tempi. Dopo il parto, ne segue un secondo che chiamiamo “secondamento”, dove avviene l’espulsione della placenta e delle membrane. Negli ultimi decenni la fase di secondamento è stata sempre più al centro dell’interesse di una scienza spirituale dell’uomo e della natura. Si dimostra sempre più chiaramente, infatti, che tutta la formazione dell’embrione è guidata fin nei dettagli da questi organi che lo avvolgono e che, mentre cresce la sua autonomia, vanno riducendosi man mano fino alla nascita. Sappiamo dall’antroposofia che la placenta manifesta le forze formative superiori dell’io, l’entità cosmica superiore dell’essere umano. In tutte le antiche civiltà, e in parte ancor oggi presso le popolazioni primitive, lo si trova espresso in particolari usanze rituali legate al secondamento.