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Diplomi 2017: Movimento dappertutto…

La mia prima esperienza con l’euritmia la potei fare dieci anni fa, quando in VIII passai da una scuola statale a una scuola Waldorf. Oltre all’approccio pedagogico completamente diverso, aspettavo con ansia la lezione di euritmia e in un primo momento, comprensibilmente, rimasi piuttosto confusa. In una stanza tutta colorata di rosa, i miei nuovi compagni si muovevano su testi e musiche e, al contrario di me, parevano sapere tutti che cosa bisognasse fare. Io mi limitavo a imitarli e cercavo di riconoscervi un senso.
La mia insegnante di euritmia cercò di spiegarmi la materia, però non capivo che cosa ne dovessi trarre. Ma mi piaceva avere nella giornata di scuola qualcosa che non si rivolgesse solo al cervello. In quel momento eravamo un’unità e lavoravamo insieme in modo del tutto naturale. Potevamo lasciare da parte le reciproche difficoltà e creare qualcosa insieme.
Naturalmente allora non mi era chiaro. Se si viene catapultati così in una situazione scolastica, ci si limita a seguire, ma poi questa esperienza, soprattutto rispetto alla mia storia precedente nella scuola pubblica, fu per me di straordinario valore.
Durante gli anni scolastici, fino al termine degli studi, si radicò nelle mie aspettative per il futuro l’idea di stare una volta davanti a una classe e di poter offrire agli studenti la possibilità di lavorare insieme così, senza riserve. Quando in XII preparavamo il saggio finale di euritmia per rappresentarlo, avevo trovato un grande piacere nell’euritmia, perché non si trattava di un’arte rigida, ma vi era movimento ovunque. Si è liberi nelle possibilità espressive e in ciò che si vuole manifestare. Così non si ha l’obbligo di consacrarsi alla musica o al testo, perché non è quello il compito, ma si rappresenta il suono o il linguaggio. Si può, in un certo senso, prescindere da se stessi e abbandonarsi del tutto a ciò che risuona.
“…un ulteriore stimolo…”
Quando l’insegnante di euritmia mi disse che avrei potuto pensare a un corso di studi sull’euritmia, e mi raccontò alcune cose di quel corso, nel mio cuore ero sicura di volerlo fare. Così presentai domanda alla scuola di arte euritmica di Berlino. All’inizio era per me assolutamente sorprendente trascorrere le giornate in una lunga veste, però mi ci abituai alla svelta, accettandola come la quotidianità per una studentessa di euritmia.
Tra i vari momenti dedicati agli esercizi con le verghe, a quelli con i passi e con le vocali, ve ne fu uno in cui una studentessa del quarto anno ci mostrò come si cuce un abito da euritmia. Fin dalle lezioni di lavori manuali alla scuola Waldorf mi piacevano molto i lavori di quel tipo, ed ero perciò entusiasta di queste lezioni di cucito. E quando seppi che diverse indicazioni sui costumi riguardavano le forme date da Rudolf Steiner, divenni instancabile nel lavoro manuale. Trovai così un nuovo stimolo all’euritmia: i costumi.
Durante il secondo anno, mentre lavoravamo a semplici “forme del Dottore”, iniziai quindi a occuparmi delle indicazioni per i costumi. Esaminavo vecchie fotografie delle scene dal Faust, ed ero impressionata dalla varietà dei costumi. Avevo già imparato molto su pantaloni e casacche, sui diversi materiali e, dal terzo anno, sulle combinazioni di colori fra velo e abito. Volevo provare e sperimentare quanto più era possibile.
Ora nel quarto e ultimo anno di formazione, mi servii di tutto quel che avevo fatto e studiato per la mia tesi di diploma dal titolo: “I colori in euritmia”, e appresi qualcosa anche sulla funzione e le possibilità delle luci di scena.
Così posso parlare per esperienza personale quando dico che l’euritmia non si esaurisce nel movimento.
La mia impressione dei quattro anni di studi è che la complessità e varietà di quest’arte trovi un limite solo nella creatività di ognuno, perché lo studio dell’euritmia non termina quando si lascia la scuola.
Se si racconta ai propri amici che si studia euritmia, in genere la reazione è: “Ma che cos’è?”
Poiché la reazione normale a qualunque tentativo di spiegazione è di solito uno sguardo scettico, ho deciso di invitare le persone alla nostra rappresentazione finale. Diventano superflui i tentativi di spiegazione quando si è disposti a far agire su di sé uno spettacolo.
Certo oggi non è usuale leggere poesie o ascoltare musica classica, così ogni rappresentazione è una sfida; nonostante ciò ho fatto l’esperienza nella cerchia della mia famiglia e dei miei amici che essi, pur non potendo comprendere del tutto l’euritmia, ricevevano comunque un’impressione della sua efficacia.
È rimasta in me come un tempo la ferma convinzione di voler iniziare subito un’attività di insegnante e mi rallegro all’idea di offrire ad altri le cose imparate negli ultimi anni; spero davvero che anch’io potrò un giorno far entusiasmare uno o l’altro dei miei allievi come io stessa mi entusiasmai per questa materia quando frequentavo la scuola Waldorf.

Lisa Metze

Ho iniziato il mio corso di euritmia nel 2013. Ero venuta in contatto con l’euritmia e l’euritmia terapeutica già in precedenza nel 2006 nel Seminario interculturale per i giovani di Stoccarda. Avevo subito un incidente stradale e l’euritmia mi aveva aiutato a confrontarmi più consapevolmente con me stessa e con il mio corpo – sperimentando quanto fosse importante riuscire ancora a muoversi con le proprie forze. Avevo provato allora la sensazione non solo corporea, ma soprattutto interiore, di imparare a camminare. Si afferra se stessi e il proprio corpo.
A quel tempo decisi di frequentare una facoltà di economia che ho poi portato a termine. Mi sono accorta ben presto però che ero interessata molto poco agli aspetti tecnici, quanto piuttosto al modo in cui gli uomini cooperavano fra loro, a come funzionavano i processi lavorativi, a come  venivano  realizzate idee comuni. Erano tutti elementi che avevo trovato anche nell’euritmia. A poco a poco compresi perché portassi così tanto l’euritmia in me. La mia decisione di studiare euritmia non venne da un processo di maturazione, ma fu la conseguenza di una necessità interiore.
Lo studio mi ha offerto l’approfondimento di conoscenze sull’euritmia che speravo, ma con un’intensità che non mi aspettavo. Mi ha permesso di esprimere meglio le esperienze interiori che si provano ascoltando una musica o una poesia, e di renderle visibili. Ho imparato che l’anima di una persona può inserirsi in ogni nota, in ogni suono  e in ogni lettera  e che attraverso questa esperienza si possono studiare a fondo  le molte sfaccettature della vita animica, e quindi in ultima analisi della conoscenza umana. Nel confronto con una poesia o un brano musicale il corpo diviene strumento. L’euritmia penetra l’essere dell’uomo in quanto rende visibile attraverso il corpo i contenuti spirituali e le loro leggi.
Questo non significa che sia autoreferenziale. Al contrario. Ho vissuto come un grande lusso poter completare un secondo corso di studi ed essere in un continuo dialogo con i miei compagni. Infatti volevo collaborare con altre persone, considerarmi con loro in un comune processo formativo, e infine esservi veramente. Per quasi quattro anni ho lavorato a brani comuni con sei compagni – ogni giorno di nuovo, con risultati affascinanti. Vivere con gli altri nella medesima idea, nella medesima immagine, fino ad avere quasi lo stesso respiro, era e rimane un’esperienza straordinaria. Nell’euritmia è importante stabilire una consonanza tra udibile e visibile, trasformare esperienze animiche in immagini che si presentano al pubblico. Si impara a porre se stessi all’interno del movimento e diventa percepibile la peculiarità propria e dell’altro. Mi ha sempre impressionato come ci siamo riconosciuti pur nelle nostre diversità. Mi rallegro di poter ripetere di nuovo questa esperienza nella presentazione del nostro lavoro finale.
Per tutte queste ragioni riconosco anche l’alto valore pedagogico dell’euritmia. Ho presentato domanda per un ruolo di insegnante di euritmia e sono molto emozionata di fronte a questo nuovo passo.

Svenja Kerksen

Diplomi 2017: Nella differenza

Appena prima delle vacanze pasquali, quando ci giunse la richiesta di scrivere un articolo per “Auftakt”, l’atmosfera nella nostra classe era tesa al massimo. Il corso fino a quel momento ci aveva regalato momenti belli e molte conoscenze, proprio in un senso comunitario; quest’ultimo anno ci metteva ora in grande agitazione. Le richieste che il corso ci pone sono estremamente alte; siamo impegnati tutta la giornata, ma non riusciamo mai a fare tutto ciò che dovremmo. Una condizione frustrante. Dopo Natale crebbe in noi la convinzione di dover portare a termine tutto e ogni studente si è trovato spinto al limite della propria resistenza. Questo ha portato a confronti, intolleranze, impazienza e sospetti fra noi a cui non eravamo abituati.
Gli anni di studio ci hanno donato grandi trasformazioni, ci siamo sempre sforzati, e non di rado ci siamo sentiti sovraccaricati ma, benché fossimo al limite, ci è risultato chiaro per quel che viveva fra noi. A che cosa può servire? Che senso aveva portare gli studenti in quella situazione – non eravamo più al primo anno per penare così – oppure sarebbe stato meglio pretendere meno, ma lavorare in modo più sano e approfondito? Queste domande nascevano in quel momento, anche nello scambio con le euritmiste diplomate che ci aiutavano. Io non conoscevo la risposta, ammesso che ve ne fosse una chiara. Lo sguardo retrospettivo sull’ultimo trimestre, quando tutti volevano esprimersi, suscitò in me la domanda: “Come posso riconoscere il bello nella visione di un mio compagno e come posso mettermi a sua disposizione perché possa manifestarsi?” L’ideologia secondo la quale tutti noi dovremmo evolverci come uomini e diventare abbastanza buoni da volere tutti la stessa cosa, per seguire senza conflitti gli a stessi impulsi artistici, l’ho decisamente abbandonata durante quest’anno. E questo è bene secondo la mia attuale prospettiva, infatti ora più di prima riconosco che non è importante “evolvere” verso la medesima cosa, ma che solo dalla differenza, attraverso una individualità, può realmente nascere un’opera d’arte. L’essenza di una persona si mostra innanzi tutto nel modo in cui è diversa da me – imparare la socialità non può significare annullare le differenze, perché allora nessuno potrebbe evolversi verso se stesso.
La fine degli studi fu per me come un passaggio oltre il limite che io, oppure il mio gruppo, ci eravamo prefigurati. Si mostrò come in noi vi fosse molto di più di quanto sapessimo, di quanto riuscissimo a vedere, quando ci vennero prese tutte le forze e la voglia: posso arrivare più lontano di quanto avessi pensato. Posso ritrovarmi oltre quel limite, non in me e nella mia sicurezza, ma nell’istante inaspettato, scomodo e vulnerabile nel quale il mondo esterno diventa in effetti il mio mondo interiore. Così diventiamo realmente noi. Nella comunità ci siamo reciprocamente aiutati e insieme ci siamo esposti al caos, abbiamo abbandonato le comodità sociali, e ci siamo riconosciuti come singolarità. Probabilmente solo da quel momento siamo potuti diventare produttivi con l’euritmia. Questa è perlomeno la mia sensazione e io  la vivo come un grosso dono che questa formazione finora mi ha portato  e per questo sono grata a chi mi ha preceduto su questo cammino. È forse una delle esperienze originarie della formazione in euritmia: diventare un altro perché si diventa se stessi.

Franka Henn

La consegna dei diplomi

Durante la settimana di aggiornamento ad Oriago, alla fine di giugno, l’AIE ha concluso il percorso triennale sull’euritmia pedagogica dalla III all’VIII.

Sono stati consegnati 15 diplomi da Donat Südhof, docente responsabile,  e da Maria Enrica Torcianti, presidente di AIE.

Per la chiusura della settimana le euritmisti e gli euritmisti partecipanti hanno rappresentato la fiaba I sette corvi dei fratelli Grimm, con la regia di Elisabetta Fusconi, un Impromptu di Schubert e un Ragtime suonati da Stefania Visentin.

 

 

 

 

 

 

Il percorso di formazione sull’euritmia pedagogica si rivolge a euritmisti attivi nelle scuole Waldorf in Italia, proponendosi questi obiettivi:

– Insegnamento di:

  • Contenuti delle lezioni per l’ euritmia della parola e musicale
  • Metodologia e didattica dell’insegnamento dell’euritmia
  • Punti di vista pedagogici e antropologici, anche in relazione al programma di studi generale delle scuole Waldorf per le classi 4-8

– Elaborazione concettuale della presentazione e della motivazione dell’insegnamento dell’euritmia nelle scuole Waldorf
– Potenziamento dello scambio reciproco e della collaborazione delle euritmiste in loco
– Costituzione di una rete per l’organizzazione/attuazione di approfondimenti e aggiornamenti futuri all’interno dell’AIE.

Il corso prevede circa sei incontri di approfondimento di 2-3 giorni ciascuno, suddivisi nell’arco di tre anni. Il lavoro si svolge attraverso conferenze e colloqui, l’elaborazione e riflessione in comune di esercizi per la preparazione meditativa delle lezioni e la presentazione metodico-didattica di contenuti per le lezioni.

Ogni incontro è dedicato a una singola classe, di volta in volta con i seguenti contenuti:

  • Metodologia e didattica, piano di studi e condivisione di materiale per le lezioni
  • Aspetti antropologici
  • Lavoro artistico euritmico in comune
  • Antroposofia ( concetti di base, arte dell’educazione, meditazione, evoluzione dell’arte)

La conclusione del ciclo triennale, con la consegna dei primi diplomi, è la conferma  di una strada intrapresa anni fa e un sostegno per proseguirla.

Un’arte giovane di cent’anni

All’inizio del XX secolo vi erano artisti e insegnanti di danza che tentavano di percorrere vie nuove nel movimento e nelle rappresentazioni sceniche. Sentivano come troppo rigide le forme del balletto classico e cercavano nuove espressioni per la loro creatività. Quell’impulso è legato ai nomi di Isadora Duncan, di Rudolf von Laban, di Mary Wigmann…

L’intento di Rudolf Steiner era diverso: “Può danzarlo?” domandò nel 1908 alla giovane pittrice Margarita Woloscin alla conclusione di una conferenza sul Prologo del Vangelo di Giovanni, sul passo in cui dice:”In principio era il Verbo…”. Steiner collegava il proprio impulso artistico alla forza spirituale della parola e alla natura umana distinta in corporea, animica e spirituale. Nei ricordi della sua vita Margarita Woloscin scrive che Rudolf Steiner con quella domanda pensava già all’euritmia – e a lei dispiaceva molto non averlo compreso.

Nel 1911 si presentò un’opportunità concreta: in un colloquio che Clara Smits ebbe con Steiner, lei gli parlò della propria figlia diciottenne, Lory, che nutriva il desiderio di iniziare una formazione in ginnastica o meglio ancora in danza. La madre non sembrava molto entusiasta di questa idea, ma chiedeva se non potessero essere risvegliate forze salutari nell’essere umano attraverso determinati movimenti. A questo poteva ora allacciarsi Rudolf Steiner. Si dichiarò felice di dare indicazioni e subito diede a Frau Smits i primi esercizi pratici per sua figlia.

Dietro le insistenze di Lory Smits che glielo chiedeva continuamente, Steiner già nel settembre del 1912 trovò il tempo per i primi insegnamenti. Presto divenne chiaro che la nuova arte non sarebbe stata solo una nuova danza: già nelle prime lezioni di euritmia Steiner disegnò una coreografia, che doveva aiutare bambini che soffrivano di vertigini. Già nelle sue origini nell’euritmia agivano insieme aspetti espressivi /scenici, pedagogici e terapeutici. L’ultimo giorno del corso si rifletté che questa cosa doveva anche avere un nome. Secondo i racconti dei presenti, fu Marie Steiner a esclamare spontaneamente “Euritmia” (in greco “Eu”= bello, aggraziato; “Rythmus”= movimento).

Mentre Lory Smits stessa esercitava ancora i nuovi movimenti, iniziò a insegnare euritmia a un gruppo di bambini. Incontrò così nuove compagne di strada: nella prima rappresentazione che ebbe luogo nell’agosto del 1913 a Monaco, già sei euritmiste presentarono la giovane arte. In seguito si sviluppò una vivace attività di corsi e di rappresentazioni. Le giovani euritmiste esercitavano ancora anche i nuovi elementi – e al tempo stesso insegnavano a bambini e ad adulti. Solo nel 1922 si unì al gruppo il primo uomo. Steiner accompagnò l’euritmia con intensa partecipazione. Ogni volta che era possibile pronunciava parole di introduzione alle rappresentazioni e durante le prove dava ulteriori suggerimenti.

Il 1919 fu un anno speciale per l’euritmia. Dopo quasi sette anni di intenso lavoro e molte rappresentazioni interne l’euritmia fu presentata al pubblico con spettacoli nel teatro di Zurigo e in quello di Winterthur. In breve tempo si susseguirono molti spettacoli pubblici. In prevalenza la nuova forma artistica fu accolta positivamente, anche se naturalmente vi furono anche voci critiche o di rifiuto. Quando ancora Steiner era in vita vennero organizzate in Svizzera e in Germania tournée che girarono tutta Europa, spesso riempiendo grandi teatri.

Nel 1919 alla fondazione della prima scuola Waldorf a Stoccarda, l’euritmia divenne una materia scolastica regolare.

L’euritmia nella scuola Waldorf

L’euritmia venne naturalmente integrata nell’organizzazione delle materie. Steiner dichiarò l’euritmia materia obbligatoria, un onore accordato solo ad essa. A una delle prime euritmiste diede questo singolare consiglio: “Se avete di fronte a voi uno scolaro che secondo voi ha fatto sei errori, per farmi piacere ditegli/fategli notare solo il settimo.” Problemi naturalmente ve ne furono. Per questo Steiner fu sempre il più possibile flessibile con l’euritmia: a un ragazzo che proprio non si riusciva a contenere durante l’insegnamento dell’euritmia, consigliò di lasciare che partecipasse all’ora di lezione disegnando quel che gli altri eseguivano euritmicamente.

Fino alla sua morte nel 1925, Steiner accompagnò con grande partecipazione la scuola Waldorf e l’insegnamento dell’euritmia ed era felice dei suoi progressi. Nelle conferenze di pedagogia che tenne in diverse località si espresse sempre in modo positivo sul tentativo di scuola e citò come naturale, ma anche di grande utilità nella sua azione nel piano di studi. Talvolta alcuni scolari lo accompagnarono nei suoi viaggi e mostrarono come avevano lavorato in euritmia.

Perché è irrinunciabile l’insegnamento dell’euritmia?

Che gli scolari di una scuola Waldorf sappiano danzare il proprio nome può anche non essere un obiettivo. In euritmia l’essere umano parla o canta non con la propria voce, ma rendendo strumento d’espressione la propria figura, il proprio movimento. Il contenuto, ma molto più ancora l’atmosfera dell’anima e le immagini interiori vengono plasmate in forme eseguite coscientemente e in gesti artistici. All’asilo e nelle prime classi si inizia con piccole storie animate nel movimento. I bambini assumono il carattere del singolo personaggio, si muovono come principesse o come l’orso o il cavallino. Attraverso svariati esercizi geometrici e di ritmo, gli allievi delle classi successive sviluppano in gesti e forme nello spazio le proprie capacità di movimento e di espressione. Nei brani, negli esercizi, ma anche nei movimenti propri e dei compagni educano la loro facoltà percettiva. L’euritmia contribuisce a formare una sensibilità è una consapevolezza musicale, linguistica ma anche sociale. Essa mette a disposizione un enorme repertorio di movimenti che può essere differenziato come il suono nel linguaggio nell’espressione creativa. Nelle classi superiori gli studenti sono in grado di lavorare in modo autonomo nel processo che va dalla scelta del brano fino alla messa in scena.

Di fronte ai genitori della prima scuola Waldorf Steiner illustrò una volta gli effetti dell’insegnamento dell’euritmia: “Così l’euritmia agisce sulla facoltà cognitiva e sulla volontà – nel senso della mobilità, della capacità di avere interessi e dell’autenticità – e sull’animo che si trova fra la capacità conoscitiva è quella volitiva. È così infinitamente importante che l’uomo euritmia andò si colga come un tutto, che egli non abbia il corpo da una parte e l’anima, lo spirito dall’altra”. Questi sono a tutt’oggi gli ideali più alti per l’insegnamento dell’euritmia: aiutare i bambini a sentirsi bene in se stessi, a rendere il loro corpo una “casa” adatta e appropriata per la loro anima. Di questo fa parte anche il collegamento fra conoscenza e manualità: quanto spesso risulta difficile ai ragazzi, ma anche a noi adulti, fare ciò che abbiamo conosciuto come giusto. Essere iniziativa per i nostri personali impulsi, ma anche per gli altri e per il mondo che ci circonda. Nell’occuparsi a fondo di un brano musicale o di una poesia, nel conquistare la propria possibilità espressiva e nell’utilizzo della creatività queste qualità possono essere esercitate nell’insegnamento dell’euritmia. Per quanto esercizio sia richiesto, per quante ripetizioni siano necessarie, per quanti accordi si debbano trovare (e mantenere), prima che un brano sia pronto per la scena. Questa è, collegata all’attività artistica, un’educazione della forza di volontà e di iniziativa.

L’euritmia in 100 anni

L’insegnamento dell’euritmia è ancora significativo e adatto ai tempi? Un gran numero di rappresentazioni, conferenze, pubblicazioni, ma anche eventi e video nell’anno del giubileo documentano come l’euritmia venga sperimentata in modi molteplici e consapevoli.

Per il futuro si delineano due tendenze. Per l’ulteriore sviluppo dell’euritmia sarà importante approfondirla comprendendola ed esercitandola – e al tempo stesso individualizzandola. Una serie di progetti attuali di ricerca e di publicizzazione dell’euritmia aiuteranno a superare le difficoltà di comunicazione nelle quali si trovano molti euritmisti. Con un corso di studi accreditato, riconosciuto dallo stato l’euritmia avrà ulteriori riconoscimenti sociali. Mette però a rischio la propria continuità, se non può più essere percepita come arte da palcoscenico. Infatti il reale approfondimento risiede nell’esercizio attivo, nel reciproco presentare e percepire del lavoro e nel comune sforzo di comprensione. Per questo però occorre un pubblico è un luogo in cui rappresentare – e in questo alle scuole Waldorf è attribuita una particolare responsabilità. Quanto articolata e vitale sia l’euritmia, lo hanno dimostrato negli ultimi mesi una serie di iniziative di allieve e di giovani euritmiste: persone giovani tentano di mostrare il loro accesso all’euritmia. Confini fra Stati e culture vengono qui superati.

Il gruppo brasiliano “Terranova euritmia” ha compiuto tre tournée internazionali. A Witten ha avuto luogo il nono Forum di euritmia: oltre 500 partecipanti da dodici nazioni, gruppi di allievi, di studenti, di gruppi artistici o di solisti per quattro giorni hanno mostrato gli uni agli altri quel che avevano elaborato. Nel “What moves you?” gli allievi hanno eseguito la Quinta sinfonia di Beethoven: in euritmia! Essi hanno formato un casting e d’estate eseguito le prove a Berlino. I giovani hanno lavorato con sette esperti coreografi euritmici. Infine hanno eseguito la loro rappresentazione con l’accompagnamento orchestrale nella scuola Waldorf di Kreuzberg.

Una serie di iniziative dalla Germania al Brasile dimostrano chiaramente che come più di cent’anni fa i giovani chiedono l’impulso dell’euritmia. L’euritmia è giovane di cent’anni.

Di Michael Leber e Matthias Jeuker

L’insegnamento nella scuola di oggi

L’euritmia aiuta il bambino a collegarsi pienamente con la terra. Gli sforzi che richiede sono molto grandi, come pure gli ostacoli che le si frappongono. Wolfgang Leonhardt, per lungo tempo medico scolastico a Pforzheim, approfondisce la necessità esistenziale dell’euritmia e auspica un alleggerimento nel lavoro degli insegnanti.

La nascita di un bambino è un evento che si svolge in due tempi. Dopo il parto, ne segue un secondo che chiamiamo “secondamento”, dove avviene l’espulsione della placenta e delle membrane. Negli ultimi decenni la fase di secondamento è stata sempre più al centro dell’interesse di una scienza spirituale dell’uomo e della natura. Si dimostra sempre più chiaramente, infatti, che tutta la formazione dell’embrione è guidata fin nei dettagli da questi organi che lo avvolgono e che, mentre cresce la sua autonomia, vanno riducendosi man mano fino alla nascita. Sappiamo dall’antroposofia che la placenta manifesta le forze formative superiori dell’io, l’entità cosmica superiore dell’essere umano. In tutte le antiche civiltà, e in parte ancor oggi presso le popolazioni primitive, lo si trova espresso in particolari usanze rituali legate al secondamento.