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Le mani di Franz Brentano e “La filosofia nel movimento”

“Quando Franz Brentano saliva sulla cattedra e si sistemava sul podio, là vi era tutta la filosofia che di solito si poteva ammirare in lui, in quel suo modo colmo di spirito, che si poteva esprimere mediante concetti, descrivere con astrazioni, e questa filosofia era molto più mirabile di tutto quello che Brentano stesso diceva; quel che egli avrebbe potuto dire veniva espresso nel modo in cui muoveva le braccia e le mani quando parlava, in cui teneva il foglio con gli appunti del discorso. Era un modo tutto particolare di muoversi che tendeva sempre a far fluire nel gesto, nel modo di tenere il foglio, qualcosa di importante e nello stesso tempo di indifferente. L’intera filosofia  si esprimeva in questo gesto che, in un’ora di conferenza, assumeva le forme più svariate.

Franz Brentano è noto per aver fondato una psicologia in cui diverge da tutti gli altri psicologi, da Spencer, da Stuart Mill e da altri per il fatto di non aver annoverato la volontà tra le categorie psicologiche. Ora io conosco tutte le dimostrazioni e trattazioni che Franz Brentano fece a proposito di questa teoria. Nessuna agisce su di me in modo tanto convincente quanto il modo in cui egli teneva in mano il foglio; nel momento in cui faceva il gesto con la mano, con il braccio, la volontà scompariva da tutte le sue argomentazioni filosofiche e, mentre svaniva la volontà, il sentimento e l’idea si dispiegavano in maniera potente. Questa preponderanza dell’idea e del sentimento e lo svanire della volontà erano insiti in ogni movimento che faceva con la mano. Così, se scrivessi un articolo su di lui, lo dovrei intitolare: “La filosofia di Franz Brentano quale si manifestava nel movimento, nell’intero gesto”.

Rudolf Steiner, Euritmia una presentazione – O.O. 279 – Ed. Antroposofica, Milano

Diplomi 2017: Nella differenza

Appena prima delle vacanze pasquali, quando ci giunse la richiesta di scrivere un articolo per “Auftakt”, l’atmosfera nella nostra classe era tesa al massimo. Il corso fino a quel momento ci aveva regalato momenti belli e molte conoscenze, proprio in un senso comunitario; quest’ultimo anno ci metteva ora in grande agitazione. Le richieste che il corso ci pone sono estremamente alte; siamo impegnati tutta la giornata, ma non riusciamo mai a fare tutto ciò che dovremmo. Una condizione frustrante. Dopo Natale crebbe in noi la convinzione di dover portare a termine tutto e ogni studente si è trovato spinto al limite della propria resistenza. Questo ha portato a confronti, intolleranze, impazienza e sospetti fra noi a cui non eravamo abituati.
Gli anni di studio ci hanno donato grandi trasformazioni, ci siamo sempre sforzati, e non di rado ci siamo sentiti sovraccaricati ma, benché fossimo al limite, ci è risultato chiaro per quel che viveva fra noi. A che cosa può servire? Che senso aveva portare gli studenti in quella situazione – non eravamo più al primo anno per penare così – oppure sarebbe stato meglio pretendere meno, ma lavorare in modo più sano e approfondito? Queste domande nascevano in quel momento, anche nello scambio con le euritmiste diplomate che ci aiutavano. Io non conoscevo la risposta, ammesso che ve ne fosse una chiara. Lo sguardo retrospettivo sull’ultimo trimestre, quando tutti volevano esprimersi, suscitò in me la domanda: “Come posso riconoscere il bello nella visione di un mio compagno e come posso mettermi a sua disposizione perché possa manifestarsi?” L’ideologia secondo la quale tutti noi dovremmo evolverci come uomini e diventare abbastanza buoni da volere tutti la stessa cosa, per seguire senza conflitti gli a stessi impulsi artistici, l’ho decisamente abbandonata durante quest’anno. E questo è bene secondo la mia attuale prospettiva, infatti ora più di prima riconosco che non è importante “evolvere” verso la medesima cosa, ma che solo dalla differenza, attraverso una individualità, può realmente nascere un’opera d’arte. L’essenza di una persona si mostra innanzi tutto nel modo in cui è diversa da me – imparare la socialità non può significare annullare le differenze, perché allora nessuno potrebbe evolversi verso se stesso.
La fine degli studi fu per me come un passaggio oltre il limite che io, oppure il mio gruppo, ci eravamo prefigurati. Si mostrò come in noi vi fosse molto di più di quanto sapessimo, di quanto riuscissimo a vedere, quando ci vennero prese tutte le forze e la voglia: posso arrivare più lontano di quanto avessi pensato. Posso ritrovarmi oltre quel limite, non in me e nella mia sicurezza, ma nell’istante inaspettato, scomodo e vulnerabile nel quale il mondo esterno diventa in effetti il mio mondo interiore. Così diventiamo realmente noi. Nella comunità ci siamo reciprocamente aiutati e insieme ci siamo esposti al caos, abbiamo abbandonato le comodità sociali, e ci siamo riconosciuti come singolarità. Probabilmente solo da quel momento siamo potuti diventare produttivi con l’euritmia. Questa è perlomeno la mia sensazione e io  la vivo come un grosso dono che questa formazione finora mi ha portato  e per questo sono grata a chi mi ha preceduto su questo cammino. È forse una delle esperienze originarie della formazione in euritmia: diventare un altro perché si diventa se stessi.

Franka Henn

Un fattore culturale per la società

Se la scienza dello spirito non diventerà fattore culturale, alla fine del XX Secolo l’Europa arriverà alla barbarie. Così disse Rudolf Steiner precorrendo i tempi. In che situazione ci troviamo attualmente? E che significato ha per l’euritmia? L’euritmia è diventata un fattore culturale nell’arte?

Una discussione che si limitasse ai giudizi di fondo rispetto a questi temi sarebbe totalmente inutile. È necessario invece riconoscere che nel presente vi è un grande squilibrio fra vita culturale ed educazione da una parte ed economia dall’altra. Ma è assurdo lamentarsene: non si deve gridare “al fuoco”, bensì spegnerlo.

“L’angoscia animica del presente” – e il bisogno di superarla – ci appare in innumerevoli sintomi. Nel 1924, ad Arnheim, Rudolf Steiner disse ai giovani: “Il mondo va riedificato dalle sue fondamenta”. Sono parole ch conservano tutta la loro attualità e radicalità.

Come può riuscire un’arte relativamente giovane quale è ancora l’euritmia in questo difficilissimo esercizio di equilibrio: inserirsi in un mondo economicizzato – sebbene stenti a mantenersi in vita – senza offuscare o addirittura perdere il proprio impulso spirituale?

Il mondo è il risultato di equilibri. L’euritmia deve riuscire a proporsi come elemento che crea equilibrio. Per questo sono necessari due elementi: un interesse ampio per l’arte del presente (quella non antroposofica) da un lato e un approfondimento spirituale sempre più ricco da parte dei singoli euritmisti ed euritmiste dall’altro.

Da alcuni anni si osserva il fenomeno opposto: tranne alcune eccezioni, l’euritmia si è relativamente isolata all’interno della scena artistica. E l’approfondimento antroposofico ha luogo solo in alcuni o viene sostituito da surrogati. Anche nei collegi delle scuole Waldorf diminuisce la comprensione per l’euritmia.

Quando fra il 2012 e il 2013 partecipai alla Commissione per la scuola del Parlamento tedesco, ebbi modo di osservare che il concetto di educazione in Germania si era ristretto a quello di qualificazione professionale. Si prendevano in esame esclusivamente i problemi legati agli stipendi, al personale, alla comparazione delle qualifiche, non però le questioni riguardanti la qualità dell’educazione. Se ne discuteva tutt’al più nelle pause, o bevendo un caffè, nelle conversazioni private. E benché vi fosse un profondo desiderio di considerare l’uomo come un essere complesso e di orientare l’educazione secondo quest’immagine a tutti i livelli, piuttosto che sulle richieste del mercato del lavoro, tale impulso non trovava poi alcun sostegno concreto.

Da dove possiamo trovare, noi euritmisti ed euritmiste, tale sostegno? Vorrei indicare qui tre motivi, benché sicuramente se ne possano individuare altri.

Il primo motivo è che la nostra anima si amplia se ci poniamo di fronte all’arte del presente e al tempo stesso lavoriamo al nostro approfondimento spirituale. Da questa apertura (talvolta non priva di sofferenza) nasce l’esigenza di una collaborazione con gli altri autentica, seria, sincera, perché ben presto ci si accorge che da soli non si va molto lontano. Quando questa necessità viene posta con tutta la sua forza, il desiderio di un incontro potrà trovare una risposta in quello che Rudolf Steiner chiamava “culto rovesciato”: “Risvegliarsi allo spirituale-animico dell’altro uomo”. Questa è un’arte somma. Nient’altro mi sembra abbia pari importanza per l’euritmia oggi quanto questo motivo. Andrebbe elaborato addirittura un canone dell’incontro.

Il secondo motivo scaturisce dalla domanda su quali strade seguano gli impulsi spirituali del presente. L’approfondimento spirituale dei singoli, come ricordavamo prima, ne costituisce la naturale premessa, il mutamento della nostra percezione e del processo conoscitivo il necessario fondamento. Con ogni nuovo essere umano arrivano nel mondo nuovi impulsi spirituali. Quando siamo davanti a lui, siamo di fronte al mondo spirituale in una forma relativamente pura. Se non prendiamo sul serio un giovane, respingiamo anche gli impulsi che egli porta con sé.

Quando la gioventù si ribella, è il mondo spirituale a ribellarsi in ogni giovane uomo, dice Rudolf Steiner, e se non prendiamo sul serio i problemi dei giovani, se non li consideriamo impulsi cui dare forma, quei problemi si trasformeranno in istinti di potere.

Il terzo motivo si potrebbe definire forza dell’equilibrio. Rudolf Steiner ci indica come l’essere umano a ogni passo, a ogni movimento delle braccia, vinca il peso terrestre e come lì agisca una forza inconscia che mette in relazione le forze che operano interiormente con quelle della gravità.

Nell’euritmia vive la forza dell’equilibrio, un “occultismo igienico”: in un mondo spaccato “nel quale l’uomo non riconosce più l’Altro”, l’euritmia è quindi capace potenzialmente di creare pace a ogni livello. Per questo deve entrare nel mondo attuale, nei punti critici, nelle zone problematiche – da uomo a uomo, nei rapporti di tensione fra l’anima e la terra, nelle tendenze alla divisione della nostra società. Deve misurare con autocritica l’efficacia raggiunta in questi ambiti. E intervenire così anche sui temi e i contenuti dei conflitti sociali.

Oltre a una presenza sempre più organica nella nostra società attuale, lo studio dell’euritmia deve percorrere strade nuove, inserita come “metodo di studio” nel curriculum e nel corso di studi di ogni studente, non importa di quale facoltà. Oggi sarebbe necessario inoltre un lavoro dialogico cosciente sull’educazione della fantasia. Quel che un tempo era scontato, ora spesso non lo è più. Non vi è alcun ritorno a un Paradiso perduto, vi è solo una strada che va persorsa, come descrive Heinrich von Kleist nel suo saggio Über das Marionettentheater (“Sul teatro delle marionette”). Di fronte a noi vi è l’impegno di elevare a coscienza vivente cose che prima erano ben racchiuse nell’inconscio, pur senza essere soffocate del tutto. Molte persone cercano l’euritmia, ma non riescono a trovarla. La nostra capacità di dialogo è il presupposto per agire con una funzione equilibratrice. “Il risveglio nello spirituale-animico dell’Altro”: qui risiede forse il più grosso potenziale di crescita dell’umanità. Un potenziale che è ancora in gran parte da scoprire. L’euritmia quale arte cristico-dialogica nel senso migliore vive per propria natura in questo elemento. E proprio qui nella cultura dell’accordo e dell’equilibrio risiede la sua forza creatrice di pace – ma solo se in noi, euritmisti ed euritmiste, vive l’apertura e la disponibilità alla trasformazione fin nel nostro stesso Io.